
LA STORIA DELLA POLIZIA PENITENZIARIA, DALL'UNITA' D'ITALIA AI GIORNI NOSTRI.
Dopo l’unità d'Italia l’aumento della popolazione e l’incremento della criminalità fecero riemergere drammaticamente il problema del sovraffollamento delle carceri, inadeguate per capienza, condizioni igieniche e fatiscenza delle strutture. Il dibattito svolto in seno alle commissioni parlamentari di studio per la preparazione di un nuovo regolamento carcerario pose al centro la discussione sull’adozione del sistema penitenziario, affrontata nel 1861, con la presentazione al Parlamento del progetto di legge per la costruzione di un carcere cellulare, a sistema auburniano, nella città di Cagliari. Il sistema cellulare fu adottato, pur tra polemiche e perplessità, con la legge n. 1653 del 28 gennaio 1864. Il Governo nell’arco di due anni emanò i nuovi regolamenti per le carceri giudiziarie (27 gennaio 1861), per le case di pena (13 gennaio 1862), per le case di relegazione (28 agosto 1862), per le case penali di custodia (27 novembre 1862). Ogni regolamento disciplinava il funzionamento degli istituti e gli organici del personale di custodia e amministrativo.
Nel 1861 fu istituita, con r.d. del 9 ottobre n. 255, la direzione generale delle carceri dipendente dal ministero dell’Interno, primo direttore generale delle carceri del Regno d’Italia fu nominato l’avvocato Giuseppe Boschi, che vi rimase in carica fino al 1870. La direzione generale andò a sostituire la vecchia divisione del ministero. L’anno stesso della creazione della direzione generale fu dato avvio alla pubblicazione delle statistiche carcerarie.
Sotto la direzione di Giuseppe Boschi fu istituito l’Ispettorato Generale delle carceri che aveva competenze su tutto il territorio nazionale. Già il r.d. 28 agosto 1860 aveva attribuito agli ispettori funzioni di vigilanza e di controllo su tutto il servizio carcerario, dando loro la facoltà di emettere provvedimenti temporanei in casi d’emergenza e li costituiva in collegio di consulenza sotto la presidenza dell’ispettore generale, denominato poi direttore generale.
La nascita del Corpo degli Agenti di custodia e le riforme successive
Il Corpo delle Guardie carcerarie, istituto con il regolamento del 1873, fu riformato dal r.d. 6 luglio 1890, n. 7011 che istituì il Corpo degli Agenti di custodia. Nell’anno della riforma il personale di custodia era costituito da 5.280 unità, vale a dire il nove per cento della popolazione detenuta. Significative sono le riflessioni che Beltrani-Scalia, primo Ispettore generale delle carceri del Regno, dedica alla durezza del lavoro svolto dalla custodia, un lavoro mal pagato, che comprimeva al massimo i diritti e la libertà delle persone, le cui condizioni di vita e di lavoro potevano essere paragonate a quelle degli stessi detenuti.
Sul finire del secolo si giunse infine a quella vasta riforma, invocata da circa cinquant’anni, che riformò il sistema penale e carcerario. Il regio decreto 30 giugno 1889, n. 6133 approvò il codice penale Zanardelli, mentre la riforma carceraria fu emanata con legge 14 luglio 1889, n. 6165. Il regolamento carcerario del 1891 subì alcune modifiche nei primi anni del Novecento, soprattutto nella parte riguardante il sistema disciplinare dei detenuti che faceva ricorso a un ampio uso di strumenti di coercizione fisica. La prima modifica fu introdotta con il regio decreto 2 agosto 1902 n. 337 che soppresse l’uso della catena al piede per i condannanti alla pena dei lavori forzati, prevista dal regolamento disciplinare approvato con regio decreto 7 marzo 1878 n. 4328.
Una nuova riforma del Corpo degli Agenti di Custodia fu emanata con regio decreto 19 febbraio 1922 n. 393, ma ancora una volta con scarsi risultati sul piano del miglioramento delle condizioni degli agenti. Nello stesso anno fu stabilito il passaggio della Direzione generale delle carceri e dei riformatori dal ministero dell’Interno al ministero di Grazia e Giustizia.
L'Italia di Mussolini emanò il nuovo regolamento per gli Istituti di prevenzione e pena con il regio decreto 18 giugno 1931 n. 787, mentre per il personale di custodia fu emanato il regolamento 30 dicembre 1937, n. 2584, che assegnava al Corpo il compito di assicurare l’ordine e la disciplina negli stabilimenti di pena e faceva un generico riferimento al riadattamento sociale dei detenuti: “Gli agenti [...] debbono aver presente che i mezzi di coazione nell’esecuzione mirano nello stesso tempo a punire e a riadattare il condannato alla vita sociale”.
Con la fine della guerra si verificarono numerose rivolte carcerarie che spinsero il governo nato dalla caduta del regime fascista ad affrontare il problema penitenziario che sembrava essere stato escluso dai profondi rivolgimenti sociali e politici. La rivolta del luglio ’45, scoppiata nel carcere Regina Coeli di Roma, determinò una presa di posizione del ministro della Giustizia Palmiro Togliatti che emanò la circolare del 14 agosto 1945 allo scopo di porre fine alle continue sommosse che esplosero negli stabilimenti carcerari. La soluzione ancora una volta fu individuata nel mantenimento dell’ordine e della disciplina. Sul piano dei provvedimenti legislativi relativi all’assetto del personale di custodia fu emanato il decreto legge luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508 che apportò alcune modifiche al Corpo degli Agenti di custodia inquadrandolo nelle Forze Armate dello Stato, specificamente a quella in servizio di pubblica sicurezza. La conseguenza di questo passaggio fu la sotto posizione del personale di custodia alla giurisdizione militare con un inasprimento delle sanzioni disciplinari, per cui gli appartenenti al Corpo erano puniti secondo le norme del codice penale militare di pace e di guerra.
Nel 1950 la Commissione parlamentare di indagine sulle condizioni dei detenuti negli stabilimenti carcerari, presieduta dal senatore Giovanni Persico, assolse l’Amministrazione da oggettive responsabilità in merito alla cattiva gestione delle carceri chiedendo al governo un’adeguata assegnazione di risorse per la soluzione dei numerosi problemi rilevati nel corso dell’attività di indagine: “la Commissione, come del resto già è stato riconosciuto e spesso denunciato nelle Aule parlamentari e fuori, deve ancora una volta affermare che l’Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, pur adoperandosi con le più assidue cure, non può attuare integralmente il suo programma per la mancanza di un’adeguata assegnazione di mezzi”. Nelle conclusioni, il senatore Persico, sintetizzando le proposte per il miglioramento del sistema penitenziario in attesa della riforma complessiva, scriveva: “l’avvenire della scienza penitenziaria deve essere intonato a quanto scultoreamente è detto nell’articolo 27 della nostra Costituzione: la rieducazione, e conseguentemente, l’emenda del colpevole”.
Il Guardasigilli Zoli il 1° agosto 1951 sollevava ufficialmente il problema della riforma, rilevando che l’ordinamento del 1931 conteneva disposizioni non più rispondenti alle moderne esigenze penitenziarie. Le proposte avanzate dalla commissione parlamentare contribuirono a un’impostazione più liberale delle norme che regolavano la vita dei condannati, in primo luogo veniva raccomandato ai direttori di fare un uso limitato dell’isolamento diurno dei condannati e furono modificati gli elementi maggiormente restrittivi come il taglio obbligatorio dei capelli ai detenuti condannati a pene brevi e agli imputati e l’obbligo dell’uniforme per i condannati a pena inferiore a un anno di reclusione; fu stabilito che i condannati venissero chiamati per nome e non più per numero di matricola; durante i colloqui il detenuto e i congiunti più stretti erano separati da una grata con la rete e non più a distanza con la presenza ravvicinata di un agente; furono incrementati i corsi d’istruzione, le rappresentazioni cinematografiche e teatrali; fu concesso di tenere l’occorrente per scrivere e le fotografie dei familiari; infine, anche alle donne fu concesso il permesso di fumare.
La portata innovativa di questi ultimi provvedimenti fu bruscamente interrotta nel 1954, anno in cui il Guardasigilli De Pietro emanò una circolare che prendeva atto della mancata normalizzazione che doveva verificarsi dopo la guerra e ribadiva che il fine della pena doveva essere esclusivamente quello di custodire.
Nuove aperture si verificarono dopo un decennio, nel 1964, infatti, il ministro Reale, richiamandosi ai principi costituzionali e alla finalità rieducativa della pena, dispose facilitazioni in tema di corrispondenza epistolare dei detenuti con l’esterno.
Intanto, sul versante legislativo, fu riproposto il progetto di riforma del regolamento penitenziario presentato dal Guardasigilli Gonella nel 1960, che costituirà la base di tutte le successive elaborazioni, frutto di una Commissione ministeriale istituita nel 1957 e di varie commissioni ristrette nominate nell’ambito dei magistrati in servizio alla Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena. Nella seconda metà del Novecento furono infine emanate le due Riforme che hanno cambiato radicalmente il sistema penitenziario: la legge 354 del 1975 con la quale fu emanato il nuovo Ordinamento Penitenziario e la legge 395 del 1990 che soppresse il Corpo degli Agenti di Custodia e istituì il Corpo di Polizia penitenziaria.



